Scritto da Sofia Moretti | 12/12/2025 | Racconti
Il vento di dicembre a Vallechiara aveva una voce particolare. Non ululava come un lupo affamato, né fischiava come un treno in corsa. Piuttosto, sussurrava. Un mormorio freddo e antico che si insinuava tra le fessure delle case di pietra, si attorcigliava intorno ai rami spogli dei lecci secolari e carezzava le rovine del vecchio castello, trasportando con sé echi di storie dimenticate.
Leo, con la sua sciarpa di lana avvolta stretta intorno al collo e le mani affondate nelle tasche del giaccone, sentì quel sussurro non appena scese dall'autobus solitario che lo aveva lasciato all'ingresso del borgo. La data sul suo orologio digitale segnava il 12 dicembre 2025, ma il tempo, qui, sembrava essersi fermato a qualche secolo prima. Vallechiara, un minuscolo gioiello incastonato tra le colline sabine del Lazio, era un luogo dove l'asfalto cedeva il passo ai ciottoli e le luci al neon alle lanterne tremolanti.
Era venuto fin lì per una ricerca universitaria sui piccoli borghi che resistevano all'oblio, ma fin dal primo passo, capì che Vallechiara era molto più di un soggetto di studio. Era un’esperienza. L'aria era gelida e pulita, con il profumo pungente della legna che ardeva nei camini e una sottile, quasi impercettibile, fragranza di muschio e pietra bagnata. Il cielo, di un grigio perla, prometteva neve o una nebbia fitta, rendendo i contorni delle montagne circostanti sfumati e misteriosi.
Un Incontro nel Silenzio Antico
Le viuzze strette e tortuose erano quasi deserte. Solo il miagolio insistente di un gatto tigrato che sbucava da un vicolo cieco e il tintinnio lontano di una campana rompevano il silenzio monumentale. Le case, addossate l'una all'altra come vecchi amici che si sostengono a vicenda, mostravano infissi in legno massiccio e piccole finestre da cui filtrava una luce calda e invitante. Leo camminò per un tempo che gli parve eterno, assorbendo l'atmosfera, quando notò una porta socchiusa, leggermente discosta dalle altre, da cui proveniva un fioco bagliore dorato e il ticchettio ritmico di qualcosa che assomigliava a un telaio.
Esitante, sbirciò all'interno. Una piccola bottega, zeppa di matasse di lana di ogni colore, tessuti antichi appesi alle pareti e l'inconfondibile aroma terroso della canapa. Seduta dietro un grande telaio di legno scuro, con la schiena curva ma le mani agili e veloci, c'era una donna anziana. I suoi capelli erano raccolti in una treccia argentata e i suoi occhi, di un azzurro intenso, sembravano aver visto molte primavere e altrettanti inverni. Era Elara.
«Entra, ragazzo. Non stare sulla soglia, che il freddo si insinua», disse, senza alzare lo sguardo dal suo lavoro. La sua voce era roca ma accogliente, come il crepitio di un fuoco lontano. Leo, un po' a disagio ma anche affascinato, si fece avanti. Il calore della bottega era un sollievo benvenuto.
«Scusi, non volevo disturbare. Sono Leo, sto... visitando il borgo per una ricerca», spiegò.
Elara annuì, il ritmo del telaio immutato. «Lo so. Qui si sa tutto, anche le pietre hanno orecchie. Sei l'ennesimo che viene a cercare storie. E le storie, a Vallechiara, non mancano, soprattutto a dicembre.»
Il Velluto Nascosto e il Filo della Memoria
Le ore passarono in un attimo, tra il ticchettio del telaio e i racconti di Elara. Lei era la custode silenziosa di un passato che Leo aveva solo letto sui libri. Parlò di inverni rigidi, quando la neve bloccava le strade per settimane, e la comunità si stringeva attorno ai camini, condividendo pane e racconti. Parlò di feste ancestrali, di canti che salutavano l'arrivo del solstizio, e di un particolare tipo di velluto, ora quasi dimenticato, che le donne del borgo tessevano solo in dicembre.
«Era un velluto denso, scuro, come la notte più lunga dell'anno», spiegò, fermando il telaio e prendendo tra le mani una vecchia pezza di tessuto quasi nera, ma dalla morbidezza sorprendente. «Lo chiamavamo il Velluto della Notte Silente. Non era per vestiti o addobbi sgargianti. Era per avvolgere. Avvolgevamo i neonati per proteggerli dal freddo e dagli spiriti maligni. Avvolgevamo i libri più preziosi, le lettere d'amore segrete, persino le piccole statuine votive. Si credeva che quel velluto, tessuto con il filo della luna e la pazienza dell'inverno, potesse custodire e proteggere ciò che era caro, mantenendolo al sicuro dal tempo e dall'oblio.»
Leo osservò il velluto, passandovi sopra le dita. Sembrava assorbire la luce, emanando un calore sottile. «E dove è finito questo velluto? Perché non si tesse più?»
Elara sospirò, i suoi occhi azzurri si velarono di una malinconia antica. «Il mondo è cambiato, ragazzo. La fretta ha sostituito la pazienza, e il calore delle stufe moderne ha soppiantato il bisogno di un velluto che scaldasse l'anima. Le giovani non imparano più. Ma il filo... il filo della memoria, quello non si spezza mai.» Si indicò il cuore. «È qui che lo custodiamo, noi che restiamo.»
Il Dono di Dicembre
Il sole stava calando, tingendo il cielo di sfumature viola e arancio bruciato, e il freddo si faceva più pungente. Era tempo per Leo di trovare la sua locanda. Prima di salutare, Elara, con un sorriso enigmatico, si alzò e andò verso un vecchio baule di legno intagliato. Ne estrasse un piccolo scialle, dello stesso Velluto della Notte Silente, scuro e incredibilmente morbido, con un bordo finemente ricamato con stelle argentate quasi invisibili.
«Prendi. Non ti darà solo calore per il corpo, ma anche per lo spirito. E ricorda, non sono solo le pietre a conservare la storia. A volte, sono i fili, i tessuti, i sussurri del vento di dicembre che ci parlano del passato.»
Leo, profondamente commosso, prese lo scialle. Era un pezzo di storia viva, un frammento tangibile del Velluto della Notte Silente. Lo avvolse intorno alle spalle e sentì immediatamente una sensazione di protezione e di calore, non solo fisico. Era come se il borgo stesso, con le sue storie silenziose e il suo spirito antico, lo avesse abbracciato.
Uscì dalla bottega. Il cielo era ormai stellato e un velo di brina iniziava a posarsi sui tetti. Il sussurro del vento di dicembre era ancora lì, ma ora Leo lo percepiva in modo diverso. Non era più solo freddo; era intriso di racconti, di pazienza, di quella misteriosa capacità di custodire il passato. Le luci fioche delle finestre di Vallechiara, simili a piccoli occhi ammiccanti nella notte, sembravano confermare le parole di Elara. Il borgo, nel suo silenzio invernale, era un custode di tesori invisibili, e Leo, con il suo scialle di velluto scuro, ne era diventato, almeno per una notte di dicembre, il portatore.
Articolo generato da TraniRacconta - Orizzonte Comune
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